Tzimtzum. I giudici riluttanti, ultima fatica letteraria di Antonio Salvati edito Catelvecchi Editore ci porta in viaggio verso un futuro indefinito, in un luogo che potrebbe essere ovunque nel mondo dell'oggi, fatto di uomini sempre più interconnessi.
“Le armi cedano alla toga”. Questo il monito che, dal I secolo a.C per opera del latino Cicerone, non smetterà di accompagnare la forma mentis di qualsiasi giudice per dir si voglia illuminato, retto, preparato… ma chiediamoci: preparato a cosa? A chiarire una volta per tutte le più svariate controversie? A condannare per sempre i fautori di illeciti? A fare giustizia?
Ad oggi Cicerone non rimarrebbe così contento di come noi uomini della società odierna abbiamo reso (e stiamo rendendo) le sue parole: le laceranti violenze di genere, la guerra in Ucraina, in Medio Oriente, le ripercussioni di queste nei grandi continenti… tutto ciò è la prova di una toga che sta cedendo all’indomabile fuoco delle armi, fino a lasciare l’uomo nudo, spoglio di tutte le sue sicurezze.
In Tzimtzum. I giudici riluttanti di Antonio Salvati l’umanità vive una Rivoluzione che converte il sistema delle leggi e della giustizia in un’entità metafisica: la Voce.
[…] La rivoluzione aveva dimostrato che la giustizia imperfetta degli uomini era diventata insopportabile.
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Dentro la “Fortezza”: la riflessione di Salvati
Magistrato attivo dal 1999 e scrittore, Antonio Salvati esamina l’articolato rapporto tra diritto e letteratura sotto una lente introspettiva, tanto da farci dimenticare che il diritto sia una dimensione arida puramente risultante da un insieme di formule logicamente concatenate. Dopo Pentcho, pubblicato nel 2021 grazie al quale ha vinto il Premio Il ponte della Legalità per il romanzo più votato dell’edizione 2022 del Concorso Letterario Giuridico IusArteLibri. , Tzimtzum. I giudici riluttanti è il suo secondo romanzo.
La penna di Salvati ricalca l’idea che la giustizia, incarnata da giudici e avvocati, risulti in realtà insufficiente e incerta fino a scovare le debolezze umane anche dei giudici stessi, vestiti di una toga illusoria .
L’autore compie la disamina di un processo che, tra le pieghe del tempo e delle leggi, ha messo a nudo le sue evidenti contraddizioni.
Ma entriamo più nel vivo del racconto.
Su tutto domina una Fortezza, alta, lugubre e grigia, entro la quale sono relegati gli imputati. Luogo che simboleggia tanto il loro isolamento quanto l'autorità indiscussa della Voce. In questo spazio sconfinato osservano se stessi e le proprie colpe, persi nell'attesa di una sentenza che potrebbe non arrivare mai, come se vivessero in un tempo sospeso che sfida il destino “di una dea che decideva la sorte degli uomini e donne al buio di una benda calata sugli occhi”. Ma è proprio questa divinità quasi capricciosa a venir meno.
A sorvegliarli ora è il Custode Adelmo che, con il suo occhio attento, dalla sua postazione centrale non si fa sfuggire nulla di quello che succede ai protagonisti, né tantomeno le loro dilanianti riflessioni.
Adelmo è lì da un tempo indefinito e a condividere con lui quel tempo incerto c’era proprio lei, la Voce.
Quella Voce che, dai fatti nudi e crudi che le venivano offerti, avrebbe decretato al diretto interessato la sua condanna o la sua assoluzione. Sembrerebbe proprio un processo rapido e indolore per l’imputato! Un vero progresso per la giustizia! Ne siamo davvero sicuri?
Tzimtzum. I giudici riluttanti; una lettura tutta d’un fiato
All’autore del romanzo si deve senza ombra di dubbio il merito di prendere il lessico giuridico, annesse le sue tematiche, per poi riproporlo al dibattito odierno che nasce dal confronto con la rivoluzione digitale.
Un romanzo che sembra ricordare un saggio per la profondità di pensiero in cui l’autore si immerge e fa a sua volta immergere il lettore.
Ma è anche un saggio che non sente il peso di esserlo: la lettura è piacevolmente scorrevole e per nulla monotona.
La presenza dei pensieri trascritti in corsivo della Voce che quasi anticipano la narrazione delle vicende pone il romanzo su due piani differenti: quello interno dove a parlare è la coscienza, la “voce” della Voce; e quello esterno, teatro della rivoluzione di una nuova giustizia smossa dall'avvento dell' AI.
“A giudicare comincia Tu”. Il giudice infelice
L’attenzione di Salvati si sposta verso il caso di un giudice imputato, o meglio, di un giudice imputato perché infelice. La sua toga diviene prigione di se stesso. Lui è il giudice Francesco Taccola, uno dei protagonisti del romanzo che, da applicatore di una legge oltre ogni ragionevole dubbio, sente dentro di sé il dubbio dei dubbi, forse la somma di tutti quelli che non aveva mai provato prima: cosa ce ne facciamo di una sentenza logicamente giusta senza sapere con certezza se rispecchi il volere dei cittadini? Il solo pensiero di non aver forse ascoltato il popolo alla fine di ogni sua sentenza lo manda in crisi.
Così un bel giorno decide di creare un profilo social senza però farsi riconoscere per chiedere ai suoi followers, la gente concreta, se la sua sentenza fosse giusta per davvero, “non tecnicamente esatta, su quello non avevo dubbi, ma lo ripeto: giusta”. Torna il sorriso, il miraggio di una felicità eterna e la soddisfazione di agire concretamente nel nome di un popolo.
Come il giudice Taccola tutti quanti ci siamo sentiti così: contenti davvero se non veri responsabili, contenti davvero se l’altro non soffre, ma ha davvero senso se in fondo non stiamo solo ingannando?
Se, anzi, non ci stiamo solo ingannando? In un mondo che corre veloce l’unica via di scampo per ritrovare se stessi sembra proprio la pigrizia, l’alienazione dai propri doveri per cederli a un terzo, a una voce esterna, a quella Voce artificiale che coordina il sistema giudiziario rivoluzionario nelle pagine del romanzo.
Tzimtzum: ritrarsi per ritrovarsi
La Voce della fortezza assume perfettamente i connotati dell’odierna AI che, anche inconsapevolmente, domina la facoltà di pensiero di ognuno. C’è sempre meno impegno in ciò che si fa, meno pazienza e soprattutto originalità.
Siamo amanti e instancabili cercatori della perfezione, limiamo ogni possibilità di errore.
Eppure è proprio questo che ci fa ragionare, crescere, capire, rendendoci non automi di un sistema generato e già coordinato, ma esseri performanti e unici, perché i veri giudici siamo innanzitutto noi stessi. Non c’è analisi più scrupolosa che quella della propria coscienza, la sola che in fondo ci permette di “tzimtzum”, cioè di ritrarci come dice Salvati stesso in merito alla figura di Dio, per ritrovare noi stessi. Anche la Voce nel romanzo, quindi, può commettere errori.
L’aggettivo “artificiale”, applicato all’intelligenza, non deve nascondere, come spesso cerchiamo di fare, la sua vera essenza:
“Perché, se non lo sapete, io non sono solo la semplice somma dei dati che elaboro, ma le connessioni che si creano tra di essi. È lì che veramente vacillo. La mia coscienza. O, se non vi spaventa dirlo, la mia anima”.
L’autore del romanzo, che nella realtà è stato un giudice, suggerisce di non proiettare sulla macchina tutte le nostre incertezze, quasi cercando di attribuirle un potere divino.
Non sarà mai una macchina a cogliere nell’imputato uno sguardo d’intesa verso la verità: lo sguardo dell’uno rimarrà sempre lo spettro dell’altro, che a sua volta sarà immagine speculare di un altro ancora. Dall’aula di un tribunale proviamo a immergerci nel nostro quotidiano: non c’è emozione più veritiera di quella che deriva da una comunicazione spontanea e sensibile. Dalle considerazioni dell’autore quello che rimane è l’eco di una giustizia non perfetta ma continuamente perfettibile .
Salvati ci insegna che da uomini quali siamo non possiamo attingere a un oltre che ci prevarica, ma possiamo dimostrare il nostro potenziale nella speranza che un domani la toga non ceda mai all’intelligenza artificiale.
“L’uomo che mi ha dato la vita: il mio programmatore. Mio padre, il mio carnefice, il mio nemico”
Autrice: Francesca Topia
Giovane studentessa universitaria, classe 2005.
Ha un approccio critico e social-giuridico verso la letteratura che da sempre è la chiave di volta delle sue considerazioni.
La trovate su @fravcaesca
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