L’inquilino del terzo piano (Le locataire chimérique), primo romanzo dello scrittore francese Roland Topor, è stato pubblicato nel 1964 e tradotto in Italia prima con il nome di L’inquilino stregato da Gandini nel 1976, e successivamente nel 1992 con il nome de L’inquilino del terzo piano da Bompiani.
Dalle prime pagine, L’inquilino del terzo piano può sembrare un romanzo ordinario, ma man mano che ci si addentra nella lettura, quella normalità apparente inizia a sgretolarsi, trasformandosi in un incubo, esplorando tematiche complesse come l’alienazione sociale, la perdita d’identità e il sottile confine tra normalità e follia, avvalendosi di uno stile narrativo che mescola surrealismo, humour nero e atmosfere claustrofobiche.
L’articolo è suddiviso in:
Roland Topor: un artista poliedrico
Definire Roland Topor un “artista” è riduttivo: nato a Parigi nel 1938 e scomparso nel 1997, è stato non solo scrittore, ma anche illustratore, paroliere, drammaturgo, sceneggiatore, attore, scenografo, fotografo, poeta, pittore e molto altro.
È noto nel mondo del cinema sia come illustratore (ad esempio per Casanova, Il viaggio di G. Mastorna, detto Fernet, e La città delle donne di Federico Fellini) sia come attore (tra le sue interpretazioni, Nosferatu, il principe della notte di Werner Herzog e Ratataplan di Maurizio Nichetti).
Topor è anche il co-fondatore del Movimento Panico (Mouvement Panique), nato nel 1962 insieme a Fernando Arrabal e Alejandro Jodorowsky. Il movimento, concepito come risposta al surrealismo ormai divenuto mainstream, si contraddistingueva per performance teatrali caotiche e surreali che univano confusione, umorismo, euforia e violenza.
Tra illustrazioni e manifestazioni, nel 1964 Topor pubblica il suo primo romanzo, L’inquilino del terzo piano (Le locataire chimérique), un’opera che racchiude molti tratti distintivi del suo stile visionario e inquietante. Dodici anni dopo la pubblicazione del libro, nel 1976, il famoso regista Roman Polanski ne ha diretto e interpretato l’unico adattamento cinematografico, dando vita sul grande schermo al protagonista Trelkovsky in un film che ha saputo catturare l’essenza inquietante e disturbante dell’opera di Topor.
Una storia che incolla il lettore
Trelkovsky è un uomo apparentemente comune: conduce una vita incolore, lavora come impiegato e ha pochi amici. Costretto a lasciare il suo appartamento parigino, trova una nuova sistemazione in un’abitazione lasciata libera da Simonetta Choule, una giovane donna che si è gettata dalla finestra nel tentativo di togliersi la vita, senza un motivo apparente.
L’appartamento, tuttavia, si rivela tutt’altro che accogliente. Anche i rapporti con i vicini si mostrano da subito difficili: lo accusano di essere troppo rumoroso e lo osservano con sospetto. Trelkovsky si reca in ospedale per parlare con la signorina Choule riguardo all’affitto, ma la incontra solo per assistere alla sua crisi isterica nel momento in cui lo vede. La donna, avvolta da bende bianche, muore poco dopo. In questa occasione, Trelkovsky conosce Stella, una vecchia amica di Simonetta, con cui inizia a stringere un legame.
Col passare dei giorni, però, Trelkovsky inizia a perdere contatto con la propria identità. I vicini e i negozianti del quartiere sembrano trattarlo come fosse Simonetta Choule, e il protagonista si ritrova intrappolato in una spirale di alienazione e dubbio. La sua trasformazione mentale si fa sempre più evidente, conducendolo verso una follia che lo consuma e chiude il cerchio in un inquietante anello temporale.
Analisi del romanzo: un labirinto mentale
L’inquilino del terzo piano è un romanzo breve e incalzante, che mescola elementi onirici e surreali con una buona dose di humour nero e atmosfere inquietanti. La narrazione è costruita come una scala tortuosa: non si capisce mai se si stia salendo o scendendo. Il lettore, proprio come Trelkovsky, viene trascinato da una scena all’altra senza respiro, in un crescendo di tensione. Nonostante la trama si sviluppi in modo lineare, la narrazione è volutamente ambigua, unendo eventi apparentemente ordinari a elementi sempre più inquietanti, fino a rendere labile il confine tra realtà e immaginazione.
Il narratore è interno e focalizzato su Trelkovsky, offrendo un accesso diretto ai suoi pensieri e alle sue percezioni. Questa scelta stilistica rafforza il tema dell’alienazione e permette a Topor di coinvolgere il lettore, giocando con le sue percezioni: ciò che appare mostruoso potrebbe essere solo il riflesso della malvagità umana. È forse questa consapevolezza a spaventare di più: la cattiveria non è qualcosa di estraneo, ma un elemento radicato nella quotidianità, che si manifesta attraverso gesti, parole e azioni, talvolta inconsapevoli, altre volte del tutto intenzionali.
Con il suo surrealismo satirico, Topor ha creato un’opera visionaria, dove ogni parola è misurata con la precisione di un disegno complesso.
Riflessione personale su L'inquilino del terzo piano
All’inizio di questo articolo ho definito il romanzo un “incubo” perché è esattamente la sensazione che ho provato leggendolo: sembra di essere immersi in uno di quei sogni angoscianti dai quali ci si vorrebbe svegliare il più presto possibile. È impossibile non empatizzare con il protagonista, con la sua solitudine e il suo sentirsi emarginato. Allo stesso modo, si condividono le sue emozioni verso la fine della storia: paura, tristezza, disperazione e follia. Mi ha colpito molto il fatto che la metamorfosi di Trelkovsky non è mostruosa per un cambiamento fisico evidente, ma per il modo sottile e graduale con cui si compie: non ci si accorge della sua trasformazione fino al culmine finale, frutto di un crescendo ossessivo e spiazzante.
Come lettrice, ho desiderato arrivare rapidamente alla fine del libro, non per noia, ma per porre termine alle sofferenze di Trelkovsky, che ho vissuto quasi in prima persona grazie alla straordinaria capacità dell’autore di creare empatia e permettere al lettore l’immersione nella mente e nelle emozioni del protagonista.
Perché leggere questo libro: un turbinio di emozioni
L’inquilino del terzo piano è un libro emozionante e disturbante, capace di tenere il lettore incollato fino all’ultima pagina. Il finale, sorprendente e aperto a molteplici interpretazioni, lascia con più domande che risposte. Se vi piacciono le sfide, questo libro fa per voi, perché è un romanzo che sfida la percezione della realtà e che costringe a guardare il mondo con occhi nuovi e forse anche più attenti.

Autore: Elisa Sardo
Classe 2002, frequentante la facoltà di Informatica Umanistica all’università di Pisa.
Amante della letteratura fin da piccola, è appassionata anche di musica e di cinema.
Le piace scrivere e forse un domani mostrerà al mondo le sue piccole opere letterarie.
La potete contattare su Instragram:
oppure scriverle alla e-mail:
Veramente una bella recensione, mi ha fatto venire voglia di leggere il libro. Complimenti