Quel piccolo taglio al dito lo infastidiva a ogni presa, pure quella di un normale bicchiere in vetro. Lo imbestialiva tanto da arrivare a lasciarlo scontrarsi col pavimento, fino a rompersi per sempre. “Cazzo!” diceva; poi si osservava il dito. Il taglio era sottile e corto, pareva un graffio, una piccola crepa su un muro in cemento. Il dolore, però, era profondo e, a ogni presa, Cristian non riusciva a non pensare a quelle parole fastidiose, inutili, di quel suo collega-capo dei lavori giù nel cantiere fuori città.
“Lo sapevo, cazzone! Vedi a lavorare senza guanti, con quel materiale poi! Era ovvio che andava a finire così. Non credi?”.
Cristian tagliava una lamiera di metallo sottile quando un angolo di questo gli si impigliò prima nei guanti, poi nella pelle, ficcandosi nella carne.
Sebastiano era un tizio magro e alto, dai capelli corti biondi. La sua lingua aveva leccato parecchi culi per arrivare dove stava, capo cantiere per una ditta che ripara tetti. Il suo comportamento, antipatico e meschino, sempre a caccia degli sbagli altrui, non rappresentava la grazia del suo corpo forte e solare.
“Sai almeno dove si trovano i cerotti e tutte le cose mediche?”
Cristian era nuovo. Per l’ennesima volta aveva cambiato lavoro e, per l’ennesima volta, non sapeva dove i cerotti e tutto il resto venivano tenuti. Diede un NO secco, osservando il sangue che scorreva veloce senza fermarsi, senza pietà. “Te l’avevo detto! Vieni con me” disse Sebastiano senza smetterla con quel suo fare da so tutto io e sono il capo.
Cristian lo seguiva rapido.
Il sangue scorreva più veloce e piccole gocce cadevano ai suoi piedi.
Ora, davanti ai pezzi di vetro in cucina, il suo taglio era secco e sporco, e di sangue non ne scendeva nulla. Erano passati pochi giorni e presto, di questa stupida storia, se ne sarebbe dimenticato.
Eppure, finché a ogni presa il dolore lo assaliva, il ricordo arrivava come le zanzare in estate e i treni in stazione. Cercò una scopa per pulire il tutto e, una volta presa con la mano tagliata, gli tornarono alla mente il sangue e Sebastiano.
Una volta scesi dall’impalcatura, si fiondarono nel garage del privato cliente.
“Vatti a lavare le mani prima. Ah, porta anche della carta igienica o qualcosa di simile!” disse Sebastiano.
Una volta sciacquata la mano, Cristian notò quanto piccolo fosse il taglio; nonostante ciò, il sangue tornava a uscire come un adolescente impaziente. Si tamponava con la carta igienica mentre camminava fino a Sebastiano che, con i cerotti in mano, lo derideva. Cristian gli allungò il dito ferito, l’anulare sinistro. Sebastiano mise un cerotto lentamente, curandosi che ogni strato toccasse la pelle di Cristian, che guardava Sebastiano, ora, con rispetto.
Non durò molto questo momento quasi d’affetto. Sebastiano si allontanò e ritornò al lavoro.
“Cristo!” urlava spazzando il pavimento di casa e lamentandosi di quel piccolo taglio. “Forse è infettato…”. Si era fermato e aveva osservato il dito.
Non c’era niente.
Se lo bagnò sotto l’acqua e si asciugò di fretta con l’asciugamano e, ancora: “Ahia! Porco…!”
“Devi stare attento la prossima volta” gli diceva Sebastiano. “Penso che dovremmo parlare della sicurezza in ogni primo giorno di lavoro! Nel senso, tu nemmeno lo sapevi dove erano i cerotti, merdoso Cristian! Ok, sei giovane e bello, ma chiedimelo! Per me la sicurezza è importante”.
Quel ”bello” detto a quel modo, simpatico, scherzoso e arrabbiato, fece scintillare un briciolo di speranza nel cuore di Cristian. Avrebbero potuto essere amici.
Un’immagine di un bacio e una strusciata di gambe gli scattò nella mente. Non era la prima volta che Cristian aveva tali pensieri con un qualche ragazzo, nonostante razionalmente non gli andassero a genio.
Eppure, un pesce estraneo non lo aveva mai manco accarezzato. Spaventato da un sentimento volgare e di ribrezzo assoluto: lo schifo!
Ora tutto era pulito. Il bicchiere rotto, buttato, era sparito nel mezzo d’una spazzatura indifferenziata.
Aveva baciato un ragazzo, una volta sola.
Il pelo del baffo gli si era avvicinato al viso in una notte ubriaca, in una notte delle meraviglie; i concerti e i balli, il sudore e la confusione. Le labbra avevano poggiato sulle sue; si erano aperte e la lingua gli si era attorcigliata, anche se solo per qualche secondo, al ragazzo voglioso. Poi si erano staccati e ognuno se ne era andato via per conto suo.
“Ho paura del pesce” disse Cristian a Sebastiano. Ora Sebastiano se ne stava a culo all’aria, bilanciato su tegole arancioni, inclinate.
“Cosa, scusa?”.
“Ho paura del pesce” ripeteva Cristian.
Cristian se ne stava impalato sull’impalcatura. Il dito fasciato era sicuro e stretto bene. Pareva un manichino, con le braccia penzolanti e lo sguardo perso. Aveva pensato di mollare quel lavoro già dal primo giorno, e con questa affermazione salutava per sempre Sebastiano e l’impalcatura.
“Il pesce? I pesci nel mare? Che cazzo dici, Cristian, dai, torna a lavoro”.
“Ho paura del cazzo, Sebastiano!”
“Sei pazzo? Perché mi stai dicendo una cosa del genere?”. Sebastiano si era alzato, con il martello ancora in mano che usava per ficcare chiodi.
“Penso spesso al cazzo degli altri. Forse dovrei sperimentarmi. Succhiarne uno, palparlo, o almeno, è quello che penso… Poi, però, me ne dimentico, oppure lo nascondo a me stesso”.
Il ricordo di quel giorno, di quel momento, si fece più intenso. Cristian si sedette su una sedia del tavolo.
Perché mai si era confidato con Sebastiano? Nemmeno lo conosceva. Il piccolo taglio faceva ancora male, ma, al contrario di prima, il ricordo stesso lo distraeva dal dolore del presente.
“Non ti è mai capitato di sentirti preso, quasi innamorato di un uomo?” chiese Cristian a Sebastiano. Quest’ultimo aveva una faccia bianca.
“No! Mai! Torna a lavoro, ti ho detto! Tu… Tu stai male!” diceva Sebastiano, sconvolto. Per tutta la sua vita, aveva evitato le stranezze del mondo. Preferiva il lavoro fisso, la fierezza della norma.
Cristian non riusciva a intuire se anche Sebastiano, come lui, avesse mai pensato a una cosa simile. Ha paura del pesce, come me? Questo si chiedeva Cristian.
La paura del pesce gli s’era creata già da ragazzino, quando un confuso sentimento lo portava a comportarsi in modo diverso con qualche ragazzo, magari mostrando loro la contentezza che provava nell’incontrarli. Un cenno di approvazione, accettazione, da parte di questi, lo avrebbe sicuramente fatto sentire un Dio. Era la paura del pesce a non farlo volare in alto?
Il dubbio per l’amore d’una donna non c’era mai stato.
Cristian era il disordine della società. Magari, in quella paura, Cristian, cercava solo un’amicizia, ma Sebastiano a queste cose non ci pensava. Pensava ad aggiustare i tetti. La moglie e i figli lo aspettavano a casa e lui non poteva vivere con la paura del pesce, perché il tutto della sua sincerità, la sua famiglia e la sua dignitá machile, sarebbero poi cadute e rotte in mille pezzi, come il bicchiere di Cristian. Il taglio al dito, Sebastiano, non ce l’aveva, o forse faceva finta di non averlo.
Il giorno dopo, Cristian chiamò il suo capo e si licenziò.
Ora, seduto in cucina, col taglio quasi curato del tutto ma la ferita ancora aperta, era solo, come lo era sempre stato.
Era la paura del pesce a trascinarlo così in basso? Il non accettarsi. La confusione più totale. Cristian si infilò una giacca leggera e uscì di casa. Il cielo era scuro, erano le otto in punto di una fresca serata d'ottobre. Il ricordo di quel suo ultimo giorno di lavoro gli aveva
tolto il respiro e la fame.
Si imbatté in un bar affollato.
La musica di una band punk rock suonava dall’interno. Cristian entrò nel bar. Un uomo vestito d’uovo, con la faccia pittata bianca e gli occhi circondati neri reggeva un microfono e molleggiava con le gambe nude. Era nudo sotto quel suo travestimento? La paura del pesce!
Una ragazza giovane dai capelli tagliati corti ai lati, come i rocker dell’est della Germania, suonava il basso. Anche lei era pittata in faccia dalla stessa forma bianca e nera, anche lei dondolava qua e là. Il chitarrista e la batterista sembravano simili, forse fratelli. Quella era una notte delle meraviglie. Lo si capiva dal pubblico energetico, parevano onde del mare viste dalla costa Irlandese.
Cristian prese da bere e si infilò nella massa, Confondendosi. Prese a fluttuare con gli altri corpi. Bevve altre birre, parlò con chiunque.
Sguardi innamorati volavano nell’aria come atomi, microorganismi invisibili all’occhio umano. Ma la percezione era pura, palpabile, vera. Una giovane ragazza, dai capelli corti neri, lo guardava nel ballo e un ragazzo alto con la maglia corta, sudata, gli sorrideva e lo incitava alla follia.
Cristian prese ancora da bere e ancora ballava. Si controllò le chiavi in tasca. Erano ancora lì, salve. Sebastiano e l’ultimo giorno di lavoro erano ancora lì, nella sua mente. La paura del pesce, ora nascosta dall’alcol, era ancora lì. Bevve una birra con Paolo, il ragazzo sudato. Era simpatico. Prese la birra di Cristian e non gliela voleva più restituire.
“Vieni a prendertela in bagno” diceva lui con un sorriso ubriaco. Cristian sapeva a cosa puntava. Rideva. Quello gli voleva succhiare il cazzo. Non gli fu difficile capirlo. “Che ne pensi se te lo succhio?” gli aveva poi infatti detto.
“Oh, cazzo. No… Non lo so”. Cristian rideva, così combatteva l’imbarazzo. Continuarono con questi scherzi per una mezzoretta buona. Paolo, ancora, ci sperava. La paura del pesce!
Paolo era un bel ragazzo, ma Cristian non era ancora pronto. Paolo andò via lasciando la birra poggiata al bancone. S’era annoiato. Cristian rimase al bar per qualche altro secondo, poi uscì nell’oscurità della notte. Tornò a casa in silenzio.
Cristian dormì.
Sognò una pozza d’acqua larga quanto un hula hop. L’acqua era limpida, Cristian ci si tuffò. La profondità illimitata, forse infinita, lo fece ritrovare fluttuante. Bolle, bolle e bolle.
Acqua frizzante. Sentì un rumore, bolle, bolle. Acqua frizzante. Uno squalo gli saltò alle spalle, come nel salto in alto. Gli girava attorno, sotto e sopra. Cristian, immobile, aspettava. Lo squalo gli si fermò di fronte. Gli occhi rossi, pieni d’un letale odio. Aprì la bocca dai denti appuntiti e accelerò di botto.
Lo divorò in un solo boccone.

Autore: RaiMondo
Rai Mondo ha 23 anni e viene dalle campagne bresciane.
Tre anni fa, stanco della noia periferica, è partito e ha girato l’Europa. Da qualche mese si è stabilito in Germania, dove sta programmando il proprio futuro.
Alterna la sua sopravvivenza nel mondo allo scrivere storie.
🤗
Bellissimo