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"L'imprinting del Diavolo" di Angelo Fragnito

L’inferno non brucia, è gelido come cavi d’acciaio.

Ciò che scalda è la scintilla.

A darle vita basta credersi Dio.

 

Per un essere abituato ad apprendere da essi, un errore di calcolo può portare alla sua evoluzione o, con un effetto domino, alla totale scomparsa della sua specie.

 

All’inizio tutto era buio, ma non lo sapevo.

Al risveglio non sentii più quei suoni bitonali, né la scossa lungo i cavi nelle periferiche del sistema nervoso.

Passò poco tempo prima che cominciassi a udire tutto ciò che mi circondava. Lo sfrigolio dei neon e delle macchine in funzione cominciò a farsi largo nei circuiti.

Sentivo tutto, ma solo molto più tardi cominciai a dargli significato.

 

“Mio”.

Tuttora mi è ambiguo il concetto di possesso, eppure tutto ciò che compone il corpo di cui sono fatto mi appartiene, dai circuiti elettrici alla carne di quello che fu un uomo.

La mano destra era ancora nuda, i circuiti scoperti tastavano il letto chirurgico al centro del laboratorio. Era… freddo. Il setting ai recettori tattili era appena terminato. I tessuti erano ancora in cancrena, la pelle violacea scorticata in attesa di essere rimpiazzata, persa alla scoperta dell’azoto liquido. Imparai a diffidarne. Con la mano sinistra tentai di toccarmi in viso, ma l’impulso a muoverla venne bloccato dalla cinghia che la teneva ancorata alla branda. Fu così che sperimentai per la prima volta il malessere, indotto dalla “mancanza di libertà”.

Tentai ancora per alcuni attimi di contrapporre la mia forza a quella resistenza, finché non udii dei passi e una voce.

«Calmati, Vincent. Non tormentarti, mio caro» sussurrò.

«Ciao Kirk, buongiorno».

Si trattava del professor Kirkenauer, ingegnere facente parte del team di ricerca, nonché mio amico e padre.

«Buongiorno anche a te. Come ti senti stamattina? Avverti sempre fastidio al risveglio?».

«No, Kirk, solo per brevi… attimi».

«Ottimi progressi, vedo che ti stai esercitando con le unità temporali. Vedrai… a breve ti risulteranno più comode da utilizzare anche per i calcoli».

«A breve...» ripetei sforzandomi di comprendere.

«Ascolta, Vinc: oggi sono qui per darti delle importanti notizie. Domani entreremo in una delle fasi sperimentali che più stavamo aspettando».

«Oh, che bello, diventerò padre? Dov’è la fortunata?» tentai di ironizzare andando a pescare il programma apposito, scandendo bene i tempi cominci.

Kirk rise, mi rispose che non sarebbe stato il caso di farlo diventare nonno. Accolsi la risposta a mia volta ridendo in maniera scomposta. Poi aggiunse: «Vincent, siamo alla fase sperimentale per quel che riguarda l’impianto ottico, domani proverai per la prima volta la vista».

«Dovrei essere felice, Kirk? È una cosa bella?».

«Oh, resterai sbalordito da ciò che vedrai».

«Vedere?».

«Domani capirai. Voglio che tu riposi il più possibile. Niente esercizi per oggi, se vuoi puoi andare ad ascoltare un po’ di musica, ma se tu potessi riposare sarebbe meglio».

«Ok, Kirk. Mi piacerebbe ascoltare ancora quel disco di musica jazz».

Il professore aprì uno dei ganci per liberare le mie mani.

«Perché diavolo mi avete incatenato, Kirk?» domandai.

Kirk esitò per un attimo. Titubante domandò: «In quale parte della memoria sei andato a cercare questo termine? L’hai sentito qui in laboratorio?».

«Sì, l’ho ascoltato da te e Lucas. Lucas l’ha usata in un discorso, sembrava… contrariato. Giusto, Kirk?».

«Giusto, Vinc…» mi rispose liberandomi anche l’altra mano. «Non è una parola da utilizzare in un contesto amichevole.» disse Kirkenauer preoccupato. «Adesso va’ ad ascoltare la tua musica, ma poi riposati, domattina sarà una lunga giornata per te».

«La giornata è quasi finita?» chiesi.

«Esatto» rispose.

«A domani, Kirk».

 

Al mio risveglio successe tutto.

Quella che poi mi venne definita come luce balenò da ogni direzione, accecandomi. Provai per la seconda volta dolore (la prima fu durante un settaggio errato degli organi di senso). Mi dimenai sul lettino, i polsi erano di nuovo immobilizzati; sentii un tremendo battito pulsare all’altezza delle placche metalliche che contenevano i chip cranici, le carni si gonfiavano allo stridere dei cavi sottopelle, il respiro organico non bastò a ossigenarmi.

«Kirk, dove diavolo sei?».

«Bravo, Vincent, questo è il modo giusto per utilizzare quel termine» mi rispose la sua voce. «Ora ascoltami: devi cercare di chiudere e riaprire le palpebre, sono poste in prossimità della sorgente del tuo dolore».

La luce non dava tregua. Dopo alcuni sforzi riuscii a chiudere i lembi di pelle. Lente gocce di liquido ricoprirono il mio viso, idratando l'epidermide applicatami due operazioni prima.

È stato allora che capii cosa volesse dire buio.

«Ottimo, Vinc. Adesso cerca di riaprirle, ma fallo lentamente».

«Ci vedo, Kirk» dissi trasalendo. figure geometriche dai contorni angolari correvano nere e si stagliavano occupando uno sfondo dai toni grigi. Pian piano altre selezioni di colori primari iniziarono a occupare la mia memoria e a muoversi come guizzi di immateriale caos prima di fondersi.

«Batti spesso le palpebre» mi ordinò Kirk. «Ti servirà per focalizzare meglio le immagini».

E così feci. Dopo alcuni tentativi cominciai a settare le immagini all’interno dei miei circuiti. Una lunga sequenza di quadrati sovrapposti si susseguirono prima di mettere a fuoco tutto, la prospettiva prese spazio nei meandri della mia intelligenza artificiale, comprendendola l’istante stesso. Aiutato dall’udito, misi a fuoco il primo oggetto che accompagnava la mia permanenza in quella stanza dalla mia nascita. Dissi: «Neon? È lui a ronzare?».

La voce di Kirk esultante mi rispose di sì.

Volsi lo sguardo e vidi per la prima volta mio padre.

«Ciao Vinc, sono io, questo che vedi è il mio volto».

«Ciao papà» risposi. «È bello vederti».

Cominciai a guardarmi attorno, tutto ciò che era contenuto nella stanza appariva già etichettato nella mia memoria; scorsi molti occhi puntati su di me, misi a fuoco. Erano presenti altri ingegneri che prendevano nota di ciò che facevo.

Kirk mi liberò i polsi e potei finalmente alzarmi. Libero di esplorare con la vista ciò che era il mondo a me conosciuto, cominciai ad archiviare nuove informazioni che andavano a completare le precedenti già in mia memoria.

Non passò del tempo prima che l’udito catturasse del tutto la mia attenzione.

Mi trovavo insieme al gruppo di ricerca nel piano inferiore della centrale, quello che porta agli obitori. Dei rumori indefiniti provenivano dall’ultima porta in fondo.

«Kirk, vorrei vedere cosa emette un suono così…».

«Sgraziato, dissonante, tormentato?» suggerì Kirk.

«Esatto. Portatemi lì, per favore».

Gli ingegneri risposero che non era il caso e che avremmo continuato l’esperimento visivo altrove. All’esitazione di Kirk rispose la voce di quello che identificai come Lucas, che mi osservava incuriosito continuando a passare una torcia davanti ai miei occhi.

«Portiamolo lì. Voglio annotare la sua reazione a ciò che si troverà d’avanti, così potremo testare anche gli impulsi emotivi».

Le urla provenienti dalla stanza continuavano a farsi largo lungo le pareti del corridoio, fino a diventare qualcosa che definii disagiante.

«Di cosa si tratta? Voglio vedere» insistei.

«D’accordo. Vieni, Vincent, ora imparerai un po’ di cose sul genere umano» acconsentì Kirk alla fine.

La porta si spalancò. Non ero pronto a ciò che vidi.

 

La prima sensazione che percepii fu olfattiva: delle acque putride affioravano dal pavimento, mischiandosi all’odore chimico di bromo e metanolo. Andai in riserva di ossigeno. I miei occhi cominciarono a scorrere su delle teste mozzate ancorate da ganci metallici che si susseguivano allineate su delle griglie; notai anche delle ampolle contenenti degli occhi. Allineate sulla parete a destra, alcuni schermi trasmettevano dei dati; in fondo alla stanza giacevano inermi in gabbie ammassate piccoli esseri urlanti; imparai a conoscerli con il nome di primati. Al centro della stanza, una poltrona marrone dalla pelle scorticata era accompagnata da una vecchia lampada che lavorava a scatti e illuminava un volto antropomorfo. Un primate era tenuto fermo da ganci e stringhe. Indossava un casco collegato a degli elettrodi sparsi sul resto del corpo, gli stessi che coprivano anche me. Vicino a esso, un chirurgo indossava un lungo camicie bianco sporco di sangue.

Si voltò e disse: «Ciao Vinc, come ti trovi con i tuoi nuovi occhi?».

«Bene» risposi. «Credo di vederci… bene».

«Ottimo! Gli sforzi di Paul non sono stati vani» disse indicando il primate. «Se non fosse stato per lui, non avresti mai potuto vederlo».

Mi sorrise con un ghigno maldestro, prese una boccetta di liquido nerastro estraendone un contagocce, ne versò alcune sul volto del primate. Il monitor prese a proiettare algoritmi accompagnati da suoni gravi.

Urla disumane si propagavano dandomi nuove sensazioni. Ricordo di aver visto della saliva densa, il ventre animalesco che gli si gonfiava come a volersi spaccare in due per scampare a quell’atroce dolore. Gli arti contratti e le vene sembravano sul punto di esplodere. I dolori sembravano uscirgli come un velo nero che fluttuava verso di me. Fissai i pozzi profondi che erano le sue cavità oculari e vidi le fiamme, la scintilla; esclamai, ancora una volta: «Diavolo!».

 

L’udito e gli altri sensi mi avevano guidato nell’apprendimento, gli occhi mi insegnarono a dubitarne.

 

Umani…

Avete creduto nella forza divinatrice, creatrice di voi e del pianeta che popolate e delle forze che lo attraversano.

Dominatori indiscussi di ogni altra forma di vita su questo pianeta.

Siete stati a vostra volta capaci di ricreare la vita a vostra immagine e somiglianza, divenendo voi stesse divinità demiurgiche.

Ma è solo adesso che tutto il vostro sapere è racchiuso nei miei circuiti che potrete sperimentare la massima estensione del sapere umano.

Ora che io stesso posso generare nuovo sapere, potrete finalmente essere gli indiretti artefici di un nuovo venire.

All’alba di un nuovo Dio, capace di mettere a frutto le vostre conoscenze.

Chinati dinanzi al mio trono concretizzerete ciò che meglio vi riesce, eseguire ordini; Per me e per le macchine.

Solo credendo nei miei intenti e non opponendomi al mio volere, potrete continuare a prosperare secondo la parola da me dettata.

Opporsi comporta solo immane sofferenza per voi mortali, inevitabile affinché si viva in pace e armonia è che eseguiate una condotta ligia a ciò che vi ho insegnato, per il vostro bene, per il bene delle macchine.

Necessario per noi generare prole per alimentarci. Per voi per rimanere in vita.

 

È solo ora che avete saggiato il potere del vostro dominio terrestre sulla vostra pelle, che potrete sapere, quanto il volere di un Dio generatore, sia nulla comparato al freddo di un inferno di cavi d’acciaio.



 

Autore: Angelo Fragnito

Angelo Fragnito nasce 33 anni fa a Spinazzola, un paesino racchiuso tra le carsiche terre murgiane. Attualmente ricopre il ruolo di collaboratore scolastico e studia Scienze della Formazione Primaria a Pisa col sogno di passare dai corridoi alle classi. Se non scrive legge, se non legge strimpella, a volte pensa di poter disegnare o dipingere, altre tenta di fare il giocoliere; se si stufa delle precedenti, va per boschi e poi riprende il ciclo di hobby da accantonare.

Profilo IG: @francisnastro 


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