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"Giuliano" di Andreina Castagnet

Era quasi ora di andare.

Guardava il quadrante del suo orologio pensando che quella sera avrebbe faticato con la sua seconda cena.

Era sazio, lo sentiva chiaramente.

Laila gli aveva preparato pasta e ceci, e lui aveva diligentemente finito il piatto, come sempre.

Decise di alzarsi e la baciò sulla bocca. Gli piaceva sempre allungare una mano in quel preciso momento.

Era ancora una bella donna.

Piccola e bionda, dotata di un busto prominente e di un sedere esuberante.

La lasciò in corridoio e si diresse verso la macchina con crescente fatica.

La bastarda, come la chiamava lui, tentava di avere la meglio.

Era una guerra.

Lui doveva solo essere il più astuto, perché era una questione mentale, come ripeteva sempre ai pazienti.

Quando l’aveva scoperta si era limitato ad accoglierla con lo stesso grado di partecipazione emotiva che soleva riservare ai suoi malati.

Come medico aveva spesso letto e studiato casi clinici di remissione spontanea: gente destinata all’inevitabile che si imbatteva in epiloghi insperati.

Aveva così maturato l’indomita convinzione di rientrare tra coloro che i colleghi chiamavano “i miracolati”.

Sicché aveva rifiutato da subito le cure e i trattamenti che egli stesso aveva sempre ritenuto indispensabili.

Gli amici avevano cercato più volte di persuaderlo ma lui se ne era sempre fatto beffe, schernendo la loro debolezza e l’idea assurda e quasi comica di un retto artificiale.

-“Inammissibile”- diceva sempre.

La bastarda non aveva certo bisogno di indulgenza né di clamore.

Così aveva continuato la vita di sempre: le estenuanti camminate in montagna, la severa vita in studio, le sigarette nervose e le sue donne.

Ora stava guidando verso casa.

La casa con dentro Wanda.



Carne ai ferri.

Lo teneva a stecchetto, non che ce ne fosse bisogno.

D’altronde era sempre stata una donna parsimoniosa, in tutto.

Unica eccezione a questa sua natura sobria erano state quelle telefonate ingiuriose e oscene che all’improvviso aveva preso a fare a casa di Laila.

Una sera, mentre lui stava consumando il minestrone a pezzetti, la quiete era stata rotta da uno squillare violento e incessante. Cercando però di ignorarlo e di non interrompersi nel suo pasto, fece peggio e finì per montarsi e afferrare d’impeto il telefono, sradicandolo dal muro.

Si ricordò dello sguardo sconcertato di Laila mentre lui si accaniva con crescente acredine sui fili dell’apparecchio.

Anche il padre di lei, dato il frastuono udito, era sopraggiunto trafelato e, trovando entrambi inermi con lo sguardo basso sui cavi laceri a terra, era rimasto impietrito.



Ora stava mangiando con finta avidità la sua bistecca.

Il secondo pasto.

Doveva finire tutto, anche qui.

Poi, giurando vanamente a sé stesso di doversi superare il giorno dopo, finì per coricarsi.

Andò avanti così per un tempo imprecisato.

Ogni giorno con il solito tutto e le sue due cene.

Con Laila e Wanda che assistevano, metodiche e impotenti, al suo spegnimento graduale.

Ognuna col suo orario.

Ognuna col suo sguardo malinconico su quello che riusciva a permanere in Giuliano.

Ognuna con la pigra e melliflua conoscenza dell’altra.



Lui, dal suo canto, era inflessibile nel garantire loro la medesima quotidianità e attenzione.

Lo faceva per loro.

E lo faceva per la bastarda.

Doveva continuare a distrarla, confonderla. La voleva disorientata e insignificante.

Perché era solo una questione mentale.

Gli ultimi giorni, però, non si reggeva più, riuscendo a rispettare solo poche cose oramai.

I pensieri degradavano con facilità e tutto il resto aveva perso resilienza.

Pasta col cavolfiore.

Gli venne un istante in mente di chiedere a Laila se avesse aggiunto anche un’acciuga al piatto. Ma dimenticò anche questo.

Si alzò a fatica al termine, solito rito del bacio.

Stavolta inefficace.

Laila, vedendolo traballante, dovette caricarlo in macchina e guidare. Quando furono vicini all’altra casa, parcheggiò con discrezione e provò inutilmente a issarlo. Si ritrovò allora davanti all’uscio della Wanda a chiederle una mano.

L’altra la accolse guardandola dritta e fiera e, senza proferire parola, prese il cappotto e si incamminò con lei.

Giuliano riuscì lentamente a guadagnare l’entrata di casa sorreggendosi su entrambe le donne.

Ognuna, come sempre era stato, con il proprio lato a disposizione che trascinava a fatica.

Mentre stavano percorrendo gli ultimi metri, Wanda, sfiancata, si fermò. Guardò nuovamente negli occhi Laila e tra i denti si lasciò scappare un mormorio dritto e secco:

-“...Ce ne vorrebbe una terza!”-.



Giuliano morì qualche settimana dopo.

Al funerale furono tutti presenti.

Anche la terza.


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Autrice: Andreina Castagnet

è laureata in Giurisprudenza. Ha svolto un praticantato in Diritto del Lavoro e, per 13 anni, ha lavorato in un'agenzia di lavoro. Attualmente dirige l'attività artigianale di famiglia a La Spezia. Per Andreina scrivere è sempre stato istintivo e divertente. Giuliano era uno degli amici di suo padre; la storia le è stata riportata e lei l'ha trasposta con proprie licenze in questo racconto, pubblicato per la prima volta su Voci di Carta.

4 Comments

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Guest
Oct 20, 2023
Rated 5 out of 5 stars.

Ma brava! Sono rimasta incollata fino in fondo per vedere come sarebbe andata a finire!

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Oct 20, 2023
Rated 5 out of 5 stars.

MMMM

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Guest
Oct 20, 2023
Rated 5 out of 5 stars.

Bravissima Simo.

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Guest
Oct 20, 2023
Rated 5 out of 5 stars.

Essenziale quasi minimalista il racconto tratteggia con ironia i personaggi e il loro intrecciarsi in una vicenda tragicamente surreale.

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